Ho bisogno di un Drink

La pioggia martellava sulle finestre di vetro sporco del bar, un locale trasandato nascosto in una stradina secondaria, lontano dalle luci sfavillanti della città. L’insegna al neon lampeggiava a intermittenza, ormai difettosa, proiettando la scritta “BAR” in un tenue bagliore rosso. Era un posto che non attirava clienti neanche per sbaglio. Nessuno ci andava mai neanche accidentalmente, a parte gli abituali che stavano al massimo fino alle dieci.

Quella notte un uomo spinse la porta pesante di legno e un campanello squillò debolmente, annunciando la sua entrata. Scosse il cappotto impregnato d’acqua e si guardò intorno. Chissà perché il locale era vuoto, tranne che per il barista, che stava dietro al bancone a lucidare un bicchiere di vetro con un vecchio panno macchiato. Una radio, nascosta chissà dove, suonava una vecchia canzone jazz che si perdeva nel ronzio costante della corrente e delle interferenze.

L'uomo si sedette a uno degli sgabelli, scivolando pesantemente sul legno liscio. Il barista alzò lo sguardo, incrociando i suoi occhi con quelli dell’uomo, ma senza dire nulla.

"Ho bisogno di un drink," disse l’uomo, la voce graffiata dalla gola secca, "e fammelo bello forte".

Il barista annuì leggermente. Senza una parola, si voltò verso gli scaffali dietro di lui. Le bottiglie erano vecchie, ricoperte da uno strato sottile di polvere. Prese una bottiglia senza etichetta, una delle tante, e versò con gesto lento e deliberato un liquido denso e scuro in un bicchiere basso. L'uomo osservò il bicchiere che gli era stato messo davanti. "Cos’è?", chiese curioso.

"Quello che hai ordinato," rispose il barista, "un drink". Il suo tono era piatto, stanco dalla giornata di lavoro. Il bicchiere brillava sotto la fioca luce del bar, ma l'alcol sembrava assorbire la luce, come se fosse una fossa di tenebra liquida.

L'uomo fissò il drink, come ipnotizzato. Nella sua mente la madre, la moglie, i bambini. Tutte le disgrazie che erano successe e che lo avevano portato a farsi un goccetto in mezzo al diluvio di un lunedì notte. Fece un respiro profondo, prese il bicchiere e bevve.

Il liquido era freddo e denso, scivolava giù per la gola come una colata di piombo fuso. Non bruciava come l’alcol, anzi, non bruciava proprio. Lo schiacciava da dentro, comprimendogli petto e chiudendogli lo stomaco. Sentiva che stava per vomitare, ma non sarebbe riuscito mai a farlo. I suoi occhi si spalancarono e il suo cuore batteva all'impazzata.

"Che cos’è… questa roba?" balbettò, la voce incrinata dal drink appena finito. Provò ad alzarsi, ma le gambe non rispondevano.

"Lo hai chiesto tu, me lo hai chiesto bello forte", rispose il barista, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

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